Censis: sul web il 78% degli italiani, boom di smartphone e tv “intelligenti”

La fotografia è scattata dal 15° Rapporto sulla comunicazione del Censis, promosso da Facebook, Intesa Sanpaolo, Mediaset, Rai, Tv2000 e Wind Tre, presentato oggi a Roma presso la Sala Capitolare del Senato.
Nel 2018 la televisione registra una leggera flessione di telespettatori, determinata dal calo delle sue forme di diffusione più tradizionali. La tv digitale terrestre e la tv satellitare si attestano, rispettivamente, all’89,9% e al 41,2% di utenza tra gli italiani: entrambe cedono il 2,3% di pubblico nell’ultimo anno. Continuano a crescere invece la tv via internet e la mobile tv.
L’incremento di utenti dei servizi video digitali è uno dei cambiamenti più rilevanti del 2018: in un anno gli italiani che guardano i programmi delle piattaforme di tv on demand sono aumentati dall’11,1% al 17,9%, con punte del 29,1% tra i giovani under 30. La radio continua a rivelarsi all’avanguardia nei processi di ibridazione del sistema dei media. Complessivamente, i radioascoltatori sono il 79,3% degli italiani.
Se la radio tradizionale perde 2,9 punti percentuali di utenza, come l’autoradio, la flessione è compensata dall’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc e soprattutto attraverso lo smartphone. Gli italiani che usano internet aumentano dal 75,2% al 78,4%. Quelli che utilizzano gli smartphone salgono dal 69,6% al 73,8%. Gli utenti dei social network crescono ancora, dal 67,3% al 72,5% della popolazione.
Aumentano gli utenti di WhatsApp: il 67,5% degli italiani, l’81,6% degli under 30. Più della metà della popolazione usa i due social network più popolari: Facebook (56%) e YouTube (51,8%). Notevole è il passo in avanti di Instagram, che arriva al 26,7% di utenza (e al 55,2% tra i giovani). Mentre Twitter scende al 12,3%.
Nel 2007 i quotidiani erano letti dal 67% degli italiani, nel 2018 la percentuale si è ridotta al 37,4%. Il calo non è stato compensato dai giornali online, che nello stesso periodo hanno incrementato l’utenza solo dal 21,1% al 26,3%.
Ma gli altri portali web di informazione sono consultati dal 46,1% degli italiani. Anche i lettori di libri continuano a diminuire anno dopo anno. Né gli e-book hanno compensato la riduzione.
Il Censis rileva un boom della spesa per smartphone che si è triplicata in 10 anni; quella per computer è aumentata del 54,7%, i servizi di telefonia si sono riassestati in basso per effetto di un riequilibrio tariffario e la spesa per libri e giornali ha subito un crollo. Complessivamente, nel 2017 la spesa per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati ha raggiunto i 23,7 miliardi di euro.
Forte la frattura generazionale nei consumi mediatici. I giovani si muovono con agilità nel sistema della comunicazione digitale, sfruttando più di chiunque altro tutte le opportunità offerte. Tra gli under 30 la quota di utenti di internet supera il 90%, mentre è ferma al 42,5% tra gli over 65. Più dell’86% dei primi usa lo smartphone, ma lo fa solo il 35% dei secondi. Più del 70% dei giovani è iscritto a Facebook e usa YouTube, contro circa il 20% degli anziani. Più della metà dei giovani consulta i siti web di informazione, contro appena un quinto degli anziani. Quasi il 47% dei primi guarda la web tv, contro appena il 9,5% dei secondi. Oltre il 35% dei giovani ascolta la radio attraverso il telefono cellulare, mentre lo fa solo il 4% dei longevi. Su Twitter c’è un quarto dei giovani e un marginale 3% scarso degli over 65.
I giudizi positivi sulla disintermediazione digitale in politica sono espressi da una percentuale che sfiora la metà degli italiani: complessivamente, il 47,1%.
La diffusione dei social e l’avvento dell’era biomediatica mette fine allo star system come lo abbiamo conosciuto finora. Il divismo aveva impregnato gran parte della cultura di massa del ‘900, legato al medium per eccellenza di quella cultura: il cinema.
Oggi la moltitudine dei soggetti, ha trascinato quel pantheon giù dall’Olimpo. Uno vale un divo: siamo tutti divi. O nessuno, in realtà, lo è più. La metà degli italiani è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso (tra i giovani under 30 la percentuale sale al 56,1%). Un terzo ritiene che la popolarità sui social network sia fondamentale per essere una celebrità (la pensa così il 42,4% dei giovani). Mentre un quarto sostiene che semplicemente il divismo non esiste più. Appena un italiano su 10 prende a modello i divi come miti a cui ispirarsi.
La diffusione del digitale facilita anche quella delle fake news. In questo senso quanta fiducia danno i media? La radio ottiene il primato della credibilità tra i media: il 69,7% degli italiani la considera molto o abbastanza affidabile. La televisione è considerata affidabile dal 69,1%. Oltre al 78,5% degli anziani, è anche il 68,8% dei giovani under 30 a pensarla così. Anche la stampa viene considerata affidabile da una quota maggioritaria di italiani: il 64,3%. Nella parte inferiore della graduatoria si collocano invece i siti web d’informazione: solo il 42,8% degli italiani li considera pienamente credibili. Ultimi in classifica si collocano i social network, ritenuti non del tutto affidabili dal 66,4% degli italiani.
La grande diffusione degli smartphone modifica i comportamenti di molte persone, protagoniste oggi di nuovi rituali, piccoli tic e manie mascherate. Il cellulare diventa una “protesi” utile ai nostri ricordi e alle nostre conoscenze, al punto che il 37,9% degli utenti, quando non ricorda un nome, una data o un evento, si affida immediatamente alle risposte della rete per fugare ogni dubbio.
La classifica dei principali problemi dell’era digitale secondo gli italiani riflette una visione molto individualistica, prevalentemente centrata su di sé e sull’impatto negativo che le tecnologie digitali possono eventualmente avere sul proprio vissuto quotidiano. Per il 42,5% degli italiani il problema numero uno di internet è la diffusione di comportamenti violenti, dal cyber-bullismo alle diffamazioni e intimidazioni online. Al secondo posto, il 41,5% colloca il tema della protezione della privacy. Segue il rischio della manipolazione delle informazioni attraverso le fake news (40,4%) e poi la possibilità di imbattersi in reati digitali, come le frodi telematiche (35,5%). Solo a grande distanza vengono citati problemi di sistema, come l’arretratezza delle infrastrutture digitali del nostro Paese e l’inadeguatezza dei servizi online della pubblica amministrazione (14,9%), oppure le minacce all’occupazione che possono venire da algoritmi, intelligenza artificiale e robotica (10,5%).
Un capitolo a parte è dedicato alla privacy che, dopo lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica, ha smesso di essere tema da giuristi e avvocati e ha iniziato ad interessare il grande pubblico.

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