La sfida del 5G, Tiscar: “Puntare sulla formazione o non ce la faremo”

“Se dovessi guardare al futuro prendendo lezione dal passato direi che il 5G sarà l’ennesima battaglia. Fino a oggi sulla banda larga è stato sfondato un muro notevole, visto che non si considera più una bestemmia dire che è l’infrastruttura che abilita la domanda, che investire sulla fibra non è come velocizzare l’infrastruttura in rame, e che l’intervento pubblico è un abilitatore, non un sostituto, degli investimenti dei privati”. è quanto affermato da Raffaele Tiscar, capo di gabinetto del ministero dell’Ambiente, durante la tavola rotonda sulla “sfida del 5G” che si è appena conclusa agli “Stati generali delle telecomunicazioni, l’Italia alla svolta dell’Ultrabroadband”, organizzato da CorCom con il patrocinio del ministero dello Sviluppo economico – Segretariato alle Comunicazioni, al Centro congressi Roma eventi nella Capitale.
Alla tavola rotonda, moderata da Mila Fiordalisi (condirettore di CorCom) hanno preso parte, insieme a Tiscar, Enrico Pisino (head  of innovation Fca e presidente del Cluster tecnologico nazionale Trasporti Italia 2020) Michele Ruta (docente del Politecnico di Bari) e Giorgio Scarpelli (senior vice president e chief innovation officer di Ntt Data Italia).
Secondo Tiscar, “E’ necessario che la copertura in fibra sia la più estesa possibile: si tratta di un’infrastruttura abilitante perché il mobile di quinta generazione possa garantire copertura territoriale. Oggi quello che abbiamo imparato con la storia del piano banda ultralarga ci costringe a fare sistema: per lo sviluppo del 5G è necessario togliere il tappo della normativa che pone un limite nella realizzazione di stazioni radiobase, che tra l’altro non è suffragata da dati scientifici e rischia di penalizzare gli investimenti sull’ultimo tratto della rete mobile. In secondo luogo, bisognerà avere il coraggio di stabilire che alcuni servizi devono essere soppiantati dalle nuove modalità, con il cosiddetto switch – off: è successo per le  lampadine a incandescenza in campo ambientale, e dovrà essere fatto per una miriade di servizi, dal metering alle pratiche burocratiche”. 
Ma in prospettiva c’è un rischio che soltanto oggi è possibile scongiurare, quello della mancanza di competenze: “Non c’è ancora abbastanza formazione, nel campo universitario e nei confronti del personale operativo: se continua così, tra 10 anni non ce la faremo, bisogna convergere – conclude Tiscar – verso uno sforzo per riaprire alcune facoltà universitarie che in passato erano state chiuse”.