Hacker non per soldi, ma per curiosità

La ricerca svolta dalla National Crime Agency britannica vuole dimostrare che non tutti gli hacker rientrano nello stereotipo di persone senza scrupoli che sfruttano le capacità informatiche per fare soldi e creare problemi ad aziende e persone. Quello che spinge i giovani, secondo lo studio, sarebbe la curiosità e anche motivazioni etiche, mentre il guadagno non è considerato un aspetto prioritario. L'agenzia per la lotta al crimine del Regno Unito, studiando i risultati dell’indagine, che ha coinvolto giovani dai 12 anni in su accusati di aver commesso, tra il 2013 e il 2016, crimini informatici, ha rilevato che per molti di loro lo stimolo più forte viene dalla voglia di mettersi alla prova e di vedere riconosciute le proprie capacità da un gruppo di persone altrettanto appassionate alla tecnologia; ma le sorprese non finiscono qui, sembra, infatti, che i ragazzi intervistati abbiano anche manifestato una forte motivazione a sfidare il sistema politico. Alcuni hanno dichiarato di aver iniziato perché volevano risolvere problemi tecnologici, altri per sfidare gli amici.
Dallo studio è anche emerso che le competenze iniziali, necessarie per entrare nel giro, non sono particolarmente elevate e che le informazioni e le tecniche sono state acquisite sul web. Il 61% degli hacker ha iniziato prima di 16 anni e spesso sono ragazzi che considerano l'hacking una forma di crociata morale, almeno così dice Paul Hoare che ha guidato la ricerca.
Lo studio, anche se non basterà a cambiare il significato che, facendo di tutta l’erba un fascio, attribuiamo al termine hacker, offre comunque uno spaccato suggestivo del fenomeno.