Cook scrive una lettera per difendere Apple
Dopo la notizia della decisione della Commissione Europea, il CEO di Apple, Tim Cook scrive in una lettera la posizione della sua società.
Cook precisa che la sua società ha pagato quanto dovuto e che la decisione della Commissione Europea è in contrasto con i principi fiscali internazionali
Segnala poi che la situazione che si è creata con la decisione della Commissione è paradossale visto che l’Irlanda si ritiene parte lesa e non vanta crediti nei confronti di Apple. Apple, inoltre, ha pagato quanto richiesto dal governo irlandese e non ha evaso il fisco e neanche nascosto i guadagni.
Nella lettera Cook ha voluto ricordare l’arrivo di Apple in Irlanda nel 1980 di come fosse povera l’area in cui l’azienda ha iniziato ad operare e quanto fosse elevato il tasso di disoccupazione. Agli inizi i dipendenti erano solo 60, oggi sono 6.000 in tutto il paese e molte altre aziende hanno seguito l’esempio trasformando in modo significativo l’economia dell’isola. Apple, dice Cook, è il primo contribuente del paese, il primo degli Stati Uniti e il più grande del mondo. Poi, sempre a proposito di tasse dichiara che l’azienda ha seguito quanto prescritto dalle leggi fiscali irlandesi, le stesse leggi che seguono le società che vogliono fare business nel Paese.
Giudica la scelta della Commissione molto pericolosa perché, a suo parere, sovverte dei radicati principi sul pagamento delle tasse da parte delle multinazionali e mette in discussione la sovranità di ogni stato dell’Unione Europea sulle sue politiche fiscali. Riconosce che Il pagamento delle tasse, per le multinazionali è piuttosto complesso, ma ricorda che un principio viene riconosciuto da tutti: i profitti di una società sono tassati nel paese dove viene creato il valore. Nel caso di Apple, poiché una parte corposa di ricerca e sviluppo è fatta in California, gran parte dei profitti sono tassati negli Stati Uniti. Le società europee che fanno affari negli Stati Uniti, d’altro canto, sono tassate con lo stesso principio e Cook sostiene che la Commissione, con la sua decisione, sta chiedendo che queste regole, universalmente accettate, siano modificate retroattivamente.
Sempre secondo il CEO l’obiettivo è colpire Apple, ma senza prima aver fatto una valutazione degli effetti che questa decisione produrrà sugli investimenti e sulla creazione di posti di lavoro in Europa. La lettera si chiude con una critica pesantissima: se questa decisione sarà confermata, le aziende che lavorano in Irlanda e in Europa corrono il rischio, in un prossimo futuro, di dover pagare tasse secondo leggi che non sono mai esistite.
Cook precisa che la sua società ha pagato quanto dovuto e che la decisione della Commissione Europea è in contrasto con i principi fiscali internazionali
Segnala poi che la situazione che si è creata con la decisione della Commissione è paradossale visto che l’Irlanda si ritiene parte lesa e non vanta crediti nei confronti di Apple. Apple, inoltre, ha pagato quanto richiesto dal governo irlandese e non ha evaso il fisco e neanche nascosto i guadagni.
Nella lettera Cook ha voluto ricordare l’arrivo di Apple in Irlanda nel 1980 di come fosse povera l’area in cui l’azienda ha iniziato ad operare e quanto fosse elevato il tasso di disoccupazione. Agli inizi i dipendenti erano solo 60, oggi sono 6.000 in tutto il paese e molte altre aziende hanno seguito l’esempio trasformando in modo significativo l’economia dell’isola. Apple, dice Cook, è il primo contribuente del paese, il primo degli Stati Uniti e il più grande del mondo. Poi, sempre a proposito di tasse dichiara che l’azienda ha seguito quanto prescritto dalle leggi fiscali irlandesi, le stesse leggi che seguono le società che vogliono fare business nel Paese.
Giudica la scelta della Commissione molto pericolosa perché, a suo parere, sovverte dei radicati principi sul pagamento delle tasse da parte delle multinazionali e mette in discussione la sovranità di ogni stato dell’Unione Europea sulle sue politiche fiscali. Riconosce che Il pagamento delle tasse, per le multinazionali è piuttosto complesso, ma ricorda che un principio viene riconosciuto da tutti: i profitti di una società sono tassati nel paese dove viene creato il valore. Nel caso di Apple, poiché una parte corposa di ricerca e sviluppo è fatta in California, gran parte dei profitti sono tassati negli Stati Uniti. Le società europee che fanno affari negli Stati Uniti, d’altro canto, sono tassate con lo stesso principio e Cook sostiene che la Commissione, con la sua decisione, sta chiedendo che queste regole, universalmente accettate, siano modificate retroattivamente.
Sempre secondo il CEO l’obiettivo è colpire Apple, ma senza prima aver fatto una valutazione degli effetti che questa decisione produrrà sugli investimenti e sulla creazione di posti di lavoro in Europa. La lettera si chiude con una critica pesantissima: se questa decisione sarà confermata, le aziende che lavorano in Irlanda e in Europa corrono il rischio, in un prossimo futuro, di dover pagare tasse secondo leggi che non sono mai esistite.
Non vogliamo esprimere giudizi su una materia complessa che avrà ripercussioni, oggi ancora difficili da prevedere, una cosa però la decisione della Commissione l’ha sicuramente messa in luce: la mancanza di coerenza fiscale dell’Europa. Un’evidenza che oltre a generare confusione e incomprensioni tra aziende UE e USA, crea anche grandi sperequazioni e difficoltà tra gli stessi paesi che della UE sono membri.