Uber spione
E’ il New York Times a riportare la notizia: Uber ha rischiato di uscire dall'Apple Store. I fatti risalgono al 2015, quando Apple ha chiesto di interrompere il tracciamento dei movimenti degli utenti iPhone che, secondo Apple continuava anche dopo che questi avevano disinstallato l'app e perfino dopo un reset del melafonino. Tutto era possibile grazie ad una fingerprint, che raccoglie informazioni su un dispositivo a scopo di identificazione, pratica che, nelle linee guida della piattaforma, è proibita. Uber aveva anche bypassato il quartier generale di Apple in modo che fosse escluso dalla fingerprint per evitare che il trucco fosse scoperto. Ma così non è stato e, dopo il chiarimento, la fingerprint è stata rimossa.
Resta da capire se, come sostiene Uber, la pratica servisse solo per difendersi dall'uso fraudolento dell'applicazione, quando, ad esempio, veniva usato un telefono rubato o una carta di credito clonata. Sempre secondo l’azienda, queste operazioni avevano lo scopo di individuare e bloccare login sospetti e proteggere gli account dei clienti e serviva come misura di sicurezza per proteggere dai truffatori sia Uber che i suoi clienti.
In effetti, le giustificazioni di Uber potrebbero essere vere perché nel periodo 2014 e 2015 alcuni autisti, per avere accesso ai premi e ai bonus, sembra usassero telefoni rubati ed elaborassero false richieste di corse. L’azienda californiana non è nuova a problemi legati alla privacy. Sempre nel 2014 è stato scoperto il sistema Greyball capace di oscurare le attività dell'app alle amministrazioni delle città che bloccavano o vietavano il servizio, poi ci sono state le indagini sullo spionaggio ai danni dei giornalisti troppo critici nei confronti dell'app e infine, con GodView, l’azienda monitorava gli spostamenti di autisti e clienti. Sembra che questo sistema, nonostante la multa già inflitta negli USA, sia ancora in uso.