La banda delle identità clonate: “Legàmi con le cosche calabresi”

"Quando leggo che gli abitanti di Archi sono andati in Romania per rifare la ’ndrangheta mi viene l’amaro in bocca. Sono solo falsità che feriscono". Questo dichiarava Giuseppe Pensabene, 42 anni, di Archi, quartiere di Reggio Calabria, in un’intervista del massmediologo Klaus Davi, impegnato in una crociata per risollevare la Calabria. Pensabene, da 8 anni a Bucarest, s’era inventato il brand "Archi for ever", per rilanciare il nome del suo ex quartiere, tristemente noto per essere il fortino di una delle cosche più potenti della ’ndrangheta, il clan Tegano.
A Davi aveva parlato anche del suo passato difficile e dell’amicizia con Domenico Tegano, figlio del boss Pasquale.
Oggi, Peppe Pensabene è stato arrestato con l’accusa di essere il capo di una banda internazionale, tra Italia e Romania, specializzata nelle truffe informatiche (oltre un milione e 200 mila euro in otto mesi, 109 vittime solo in Italia), il cui ricavato sarebbe stato reinvestito, dalla cosca calabrese, nell’acquisto di armi.
Un capitolo sul quale indaga la Procura di Reggio Calabria, ma che si interseca con quella eseguita dalla polizia postale di Milano, in collaborazione con le forze dell’ordine romene, con Europol e con Eurojust. L’inchiesta ha portato a venti arresti (12 in Italia). Fondamentale, l’utilizzo del trojan Viper, un software spia che ha permesso di "monitorare", in tempo reale, pc e smartphone usati dagli indagati per scambiarsi i dati delle vittime.
La banda, che utilizzava esperti informatici romeni e una rete di "cavallini", che si occupavano dei prelievi di denaro attraverso le carte clonate, acquistava programmi "virus" e mailing list con dati personali, grazie al dark web, e creava nuove identità. In alcuni casi si partiva dalla clonazione della carta sim, semplicemente fingendo lo smarrimento o il furto del telefono. In questo modo i gestori rilasciavano una nuova scheda e rendevano inutilizzabile la vecchia. Così la banda usava il telefono per ottenere password e credenziali per gli accessi home banking, senza che il titolare se ne accorgesse o avesse possibilità di dare l’allarme essendo "isolato". In altri casi venivano, invece, creati siti clone dei principali gruppi bancari o delle Poste. Per le comunicazioni la banda non usava telefonate ma solo conversazioni via chat attraverso il sistema messenger "Icq".
Giovedì, gli investigatori impegnati nelle perquisizioni hanno trovato a Reggio Calabria una cassaforte con 100 mila euro in contanti e 35 Rolex.